Cosa rallenta maggiormente la crescita in Italia?

In I miei Editoriali, Timbro e firma by Hagar Lane

DOMANDA: Quali sono i tre problemi peggiori che affliggono l’Italia e ne rallentano la crescita?

Dovrei prima chiarire che il vecchio concetto di crescita che ancora ci rifilano economisti, politici e giornalisti tutti NON funziona più. Lo spiego in un modo così chiaro che chiunque leggerà non si farà più prendere in giro dallo star-system di cui sopra.

Si è sempre associata la crescita di un Paese alla crescita del PIL (prodotto interno lordo). Questo aveva senso fino a 20 anni fa, circa, ma ora lo ha sempre meno, per non dire che non lo ha più.

“La crescita del PIL spesso corrisponde a una decrescita del Paese oggi”.

Vediamo se è vero.

Siamo tutti d’accordo col fatto che “crescita” significhi “maggiore occupazione e benessere per la collettività e non solo per quel 5% di ricchi che possiede il 90% delle risorse del mondo?”

Se siamo d’accordo, vi esorto a notare come anche all’interno dello stesso telegiornale, o a distanza di un solo giorno, si senta spessissimo dire: “Il Pil del secondo trimestre dell’anno è aumentato dello 0,2%”, ad esempio, e subito dopo viene detto: “La disoccupazione è cresciuta in questo secondo trimestre dello 0,8%”.

In passato questo non avveniva mai, nel senso che a una crescita del Pil corrispondeva sempre una crescita anche dell’occupazione, giacché il lavoro era per la gran parte manuale (c’era la grande classe operaia). Oggi non è più così, anzi è sempre più spesso il contrario, perché la tecnologia fa passi da gigante e la sua presenza è sempre più massiccia in ogni settore produttivo. Cosa accade, quindi? Accade che se un cliente fa normalmente un ordine per 1 milioni di bulloni, ad esempio, e ora inizia a chiedermene 2 milioni, è molto probabile che io non dovrò assumere nemmeno un operaio in più per far fronte alla richiesta, né un impiegato (cambia solo la cifra nella fattura ma il lavoro resta identico), perché molto semplicemente tarerò gli impianti per aumentare la produttività (velocità, ore di produzione e/o tempo, senza considerare le scorte di magazzino). Paradossalmente, se aumento molto il mio fatturato nel tempo potrò fare investimenti sugli impianti, comprarne di sempre più efficiente, e licenziare del personale, anziché assumere.

Ecco che è normalissimo oggi che il Pil di un Paese cresca e allo stesso tempo aumenti il numero dei disoccupati. Ci si deve chiedere: “Quindi l’Italia nel secondo trimestre è cresciuta o è decresciuta?”

Se cresce la disoccupazione (cigs, mobilità, sussidi di disoccupazione e persone senza più un’entrata economica di alcun tipo) posso dire che un +0,2% di Pil sia reale crescita a fronte di un aumento nello stesso periodo dello 0,8% della disoccupazione?

Io rispondo di no. Inoltre c’è da tener presente che ormai nelle aziende sempre più lo straordinario si fa gratis, il che significa che anche laddove ci fosse bisogno di un incremento di lavoro manuale, questo verrebbe svolto gratuitamente dai lavoratori già in forze in azienda.

Detto questo, la realtà è che l’Italia è ferma nella sua crescita, intesa come PIL & occupazione, da quasi 30 anni, e da 15 anni ormai siamo in recessione, checché dicano i politici e i media.

Dico che siamo in recessione perché i dati della disoccupazione forniti dall’Inps non sono veritieri, nel senso che i vari governi decidono come l’istituto deve calcolare il numero dei disoccupati.

Ad esempio: una persona in cassa integrazione è un occupato? Non lo è praticamente (non lavora=non ha un’occupazione), e non lo è nemmeno in termini di prospettiva futura, perché il 95% delle persone in cigs finiscono sempre licenziate dal momento che l’azienda quasi sempre finisce per chiudere i battenti e non risollevarsi. Ebbene, l’Inps considera occupati anche le persone in cassa integrazione. Ecco che scopriamo che l’anno scorso Di Maio ha incrementato la cassa integrazione di quasi il 100%, e non perché è buono, ritengo, ma per evitare che i dati sull’incremento della disoccupazione rimbombassero nei media.

Solo questo? Macché! Prima di lui, Renzi cambiò le regole sul calcolo dei disoccupati e decise che se  una persona aveva lavorato anche solo 1 settimana in un anno doveva essere conteggiata come occupata per l’intero anno. Capite voi che immensa quantità di persone che hanno lavorato solo poche settimane o qualche mese risultano occupate e non lo sono affatto? 

I dati veri sull’occupazione non li conosciamo davvero, perché i governi cambiano come vogliono le regole sul conteggio da fare. Possiamo quindi dire che quel famoso aumento dello 0,2% del PIL nel secondo trimestre non ha come contropartita un aumento dello 0,8% della disoccupazione, ma il dato reale sarebbe del 2% magari, e cioè il divario paradossale fra crescita del PIL e aumento della disoccupazione può essere anche molto grande.

Detto questo, rispondo alla domanda stilando il mio elenco di tre punti, che accomuna la gran parte dei Paesi nel mondo, secondo me, giacché con la globalizzazione intere aree del pianeta Terra soffrono degli stessi problemi. Un tempo aveva senso parlare dei problemi del proprio Paese, ma ora i problemi di un Paese sono identici a quelli di altri 30 Paesi e più.

  1. Le élite finanziarie che governano gli Stati da quando le banche centrali delle nazioni sono state tutte privatizzate, e che stanno facendo fallire le nazioni una dopo l’altra. Questo è il Neoliberismo, cioè un mostro terrificante.
  2. Le élite russo-americane (rosso-brune) che si oppongono al Neoliberismo, ma che sono fatte dagli oligarchi più ricchi al mondo e da associazioni cristiane estremiste che hanno già finanziato 1 miliardo di dollari ai partiti sovranisti di tutti i Paesi europei perché crescano e creino la cosiddetta Eurasia, cioè un’Europa filo sovietica. Questi vogliono un’Europa radicale cristiana, con donne che smettano di lavorare, persecuzione degli omosessuali e si rifanno alle idee filosofiche naziste e bolsceviche insieme. Questo si chiama Sovranismo, ed è un altro terribile mostro che si oppone al mostro di cui al punto 1. A noi scegliere, in pratica, di che morte vogliamo morire.
  3. Il popolo ha rinunciato ad esercitare il senso critico, e ormai segue come un branco di pecore le notizie per come gli vengono date: false o parziali, e quelle vere e di approfondimento non vuol nemmeno sentirle. Eppure c’è modo di capire le verità profonde dei fatti. Semplicemente lo spirito del popolo è stato annebbiato, e ora cammina a tentoni, seguendo le voci, senza più tenere in mano le redini del suo destino.