Considerando che moriremo, cosa realizzare nella vita?

In I miei Editoriali, Timbro e firma by Hagar Lane

DOMANDA: Considerando che tutti moriremo, qual è la cosa che più di tutte nella nostra vita dobbiamo puntare a realizzare? Avere un lavoro che ci appaga? Una famiglia? Diventare ricchi? Divertirci? Fare scoperte importanti?

Lavoro che appaga? Sì, l’ho avuto per 20 anni, ma non mi ha reso felice. Ha solo riempito il mio conto corrente di denaro che non potevo godermi, perché lavoravo per tre e più persone davvero.

Una famiglia? L’ho avuta per 10 anni, ma quando son tornata single ero così felice che mi sono giurata che mai più avrei convissuto con qualcuno in vita mia.

Diventare ricchi? Figurarsi se può essere questo lo scopo della vita. Di gente ricca che ha fatto una brutta fine è pieno il mondo, fra droga, alcool, violenze, depressione, suicidi… Che manca?

Divertirsi? Beh, nemmeno il Dharma si può praticare senza la gioia nel cuore. Il divertimento scioglie l’ego, attiva l’ormone della felicità, è il sale della vita e, persino, a mio avviso, è ciò che più fa innamorare due persone e tiene unite le coppie. È fondamentale divertirsi, ma non può essere questo lo scopo della vita.

Fare scoperte importanti? Beh, ti assicuro che nemmeno questo può essere lo scopo della vita, perché tipicamente una persona che fa una scoperta si sente uno strumento al servizio di Dio, una specie di conduttore, dillo come vuoi, ma il concetto è che non sente di essere stato il solo vero artefice di quella scoperta; tutt’altro. Sente di aver semplicemente prestato il suo corpo e la sua mente a qualcuno, più grande di lui e invisibile, che lo ha usato per fare quella scoperta.

Credo che siamo qui per capire chi siamo, all’interno di un gioco che ha delle regole molto balorde: regna la dualità, l’ego ci rende infelici, moriamo e non sappiamo nemmeno cosa succede dopo la morte. Che la via del centro sia l’obiettivo da perseguire è evidente, per me, giacché la dualità è l’essenza stessa dell’Ego, che vive per noi, illudendoci di essere noi, ma che non è noi.

Come fare? Ci sono tanti cammini possibili: alcuni li possiamo scegliere noi, più spesso capita che ce li imponga la vita.

Io ho scelto il “cammino delle 4 paure”. Sono 4 diverse tipologie e livelli di paura che tutti noi sviluppiamo a causa di altrettante forme di attaccamento.

  1. Paura del vuoto esistenziale e Paure primarie: ammalarsi, morire, etc.
  2. Paura di non sperimentare la pace, il piacere/felicità e l’eccitazione/vitalità.
  3. Paura che non si realizzino le proprie speranze/sogni. Paura del futuro, ma anche di essere disprezzati/rifiutati socialmente (soldi, bellezza, età, status sociale).
  4. Paura di essere trattati con indifferenza. Es.: non il mobbing o il perdere il lavoro, che ricadrebbero nel punto 3, ma ciò che accadrebbe dopo dal punto di vista familiare e sociale. Altro esempio: non l’ammalarsi, ma la paura di trovarsi soli ad affrontare la malattia.

Sono certa che il senso della vita si sveli quando avremo superato quei quattro livelli di paura. Superarli è difficile e richiede un lungo viaggio all’avventura, è evidente. Significa fare un terremoto intorno a noi e dentro di noi, mettendo in discussione tutto. Io l’ho fatto, radicalmente, ma non chiedermi di raccontarti il finale perché sono ancora nel bel mezzo del viaggio. Di una cosa sono certa, però: che i quattro livelli di paura sono la chiave e che la piena realizzazione di sé sta dietro quei veli fumosi di paure che appaiono come enormi muri di cemento.