Un romanzo e un film (regia e sceneggiatura) hanno qualcosa in comune o sono mondi narrativi completamente diversi tra loro, e va bene così? Le regole che si seguono quando si scrive un romanzo sono in parte le stesse che segue uno sceneggiatore o un regista, o non hanno nulla a che vedere con quelle? Queste sono, a mio avviso, le domande fondamentali alle quali il mondo dell’editoria e della cinematografia italiana devono rispondere per tornare ad avere voce a livello mondiale.
A ben vedere le regole che si dovrebbero rispettare in un romanzo sono le stesse che rispettano gli sceneggiatori e i registi dei grandi film. In Italia pochi lo immaginano e nessuno lo dice e lo spiega, perché tipicamente gli scrittori di romanzi non studiano regia o sceneggiatura americana e, analogamente, chi scrive per il cinema non si cimenta anche nella scrittura di romanzi. Il mondo dei libri e quello dei film in Italia sono cioè, anche scolasticamente parlando, lontanissimi l’uno dall’altro, ed è questo il motivo principale per il quale appariamo pesanti e obsoleti agli occhi del mondo nel modo di narrare le storie.
Si crede che per passare dal romanzo alla sceneggiatura si debba fare una profonda traduzione da un linguaggio all’altro, ma questo solo perché in Italia i romanzi sono scritti senza pensare minimamente alla loro rappresentazione su schermo. Nella trasformazione del romanzo in film si ragiona per scene, ad esempio, ma non è affatto difficile strutturare sin da subito il proprio romanzo in capitoli brevi della durata tipica delle scene di un film. L’ho fatto io in “Cavalier Hak” (fantasy), ma lo ha fatto anche Ilaria Tuti in “Fiori sopra l’Inferno” (thriller).
Passando da un romanzo a una sceneggiatura si fa una grande operazione di “taglio delle parole”, soprattutto con riferimento alla voce narrante, per trasformare ciò che si legge in ciò che si vede. Ma allora… si può anche scrivere un romanzo raggiungendo la massima sintesi possibile nei dialoghi, al punto che il 100% delle parole diventino battute presenti nella corrispondente sceneggiatura, giusto? Esattamente. E la parte narrante può limitarsi a rappresentare quasi totalmente il “visivo” della scena, se intriso di significato, al punto che il passaggio da romanzo e sceneggiatura diventi pressoché immediato.
Vi siete mai chiesti perché negli Stati Uniti d’America esiste un vero e proprio mercato delle sceneggiature dei film mentre in Italia non si pensa nemmeno lontanamente a vendere le sceneggiature?
Perché in Italia siamo rimasti fermi ai copioni teatrali, purtroppo, come non avessimo ancora agganciato la scrittura romanzata a quella cinematografia, in nessun modo. E’ un po’ come essere rimasti al 1800, persi in un passato lontanissimo, motivo per cui i romanzi italiani sono considerati pesanti e arcaici. Non abbiamo, in sostanza, nemmeno iniziato il processo di fusione del linguaggio romanzato con quello cinematografico, generando lo stile nuovo, moderno e fresco che il mercato mondiale richiede ai libri per editarli e ai film per produrli.
Ecco che i romanzieri dovrebbero fare il procedimento inverso a quello che fanno gli sceneggiatori, consciamente o inconsciamente. Quando scrivono un romanzo dovrebbero, cioè, impregnare i capitoli del libro con le tecniche cinematografiche più importanti, che sono trasformabili nel corrispondente linguaggio romanzato più facilmente di quanto si pensi. Questa cosa non credo venga insegnata nelle cosiddette “scuole di scrittura creativa”. Il 99,9% degli scrittori italiani non studia sceneggiatura, ritenendola non necessaria ai fini della propria crescita come scrittore. Io dico, invece, che la sceneggiatura è uno dei più importanti attrezzi che uno scrittore deve mettere nella sua personalissima cassetta degli attrezzi.
L’ho fatto in Cavalier Hak? Ho contaminato la mia scrittura con delle tecniche cinematografiche? Ovviamente sì, altrimenti non avrei nemmeno scritto questo post. Cavalier Hak è un romanzo fortemente visivo, fatto di 85 capitoli che riflettono le tempistiche tipiche delle scene di un film.
In Scrittura e Sceneggiatura (parte 2) riporto un esempio pratico di come in Cavalier Hak ho utilizzato le tecniche cinematografiche per creare l’effetto della contemporaneità degli eventi. Ho usato i cosiddetti “movimenti di camera”, in sostanza.
In Scrittura e Sceneggiatura (parte 3), invece, mostro un esempio di come in Cavalier Hak ho creato la “dissolvenza” alla fine di una scena. Interessante, vero? Ecco, a te che stai cercando consigli sulla scrittura creativa, dico di non studiare scrittura creativa, ma regia e/o sceneggiatura.
Vostra, Hagar