DOMANDA: Cosa non si dovrebbe mai fare quando si scrive un dialogo?
Questo il mio personalissimo decalogo da seguire quando si scrive un dialogo:
- DEVE SERVIRE. Ogni frase deve avere un significato psicologico, o contribuire a far progredire la trama o arricchire la personalità del personaggio che parla. Nei romanzi, e ancor più nei dialoghi, ci dev’essere spazio solo per l’essenza. La regola madre è chiedersi sempre, frase per frase: “Serve questa frase?” Se la risposta è no, la frase si cancella, senza se e senza ma. Bisogna essere Edward mani di forbici. Nei dialoghi si deve poter spiegare cosa cela ogni frase detta da qualsiasi personaggio, e se non contribuisce in alcun modo alla storia… quella frase non può stare nel libro.
- RITMO. Edward mani di forbice entra ancora in gioco, dal momento che i dialoghi devono avere anche un certo ritmo. Questo significa tagliare tutto ciò che allunga troppo le frasi, perché fa perdere il ritmo, ma anche perché le frasi chilometriche sono irreali, tranne in casi eccezionali e ben precisi (confessioni, testamenti sul letto di morte, etc). Non si devono scrivere i dialoghi seguendo le regole della scrittura, ma quelle del linguaggio parlato, che è diverso dallo scritto e decisamente più sintetico di quello. Ogni personaggio, quindi, deve dire il più possibile frasi brevi e intense, e si toglie tutto ciò che in uno scritto magari metteresti, ma che non diresti in un dialogo.
- PERSONALITÀ. In un dialogo le personalità dei personaggi devono trapelare così tanto e bene da ogni frase che dicono che il lettore dev’essere in grado di capire chi sta parlando anche se non lo specificassi volta per volta. Spesso due personaggi parlano e non c’è differenza tra loro, se non in quello che dicono. In realtà ogni frase va detta in modo diverso a seconda del personaggio che la dice. Per capirci: se prendi 10 personaggi del tuo romanzo, scelto un concetto qualsiasi, devi essere in grado di scrivere 10 frasi diverse per esprimere quello stesso concetto, una per ognuno dei 10 personaggi, perché la frase deve esprimere sì il concetto, ma anche riflettere la personalità di chi la dice.
- VOCABOLARIO. Nei dialoghi non ha senso usare parole di uso poco comune, per non dire che non usa nessuno nella quotidianità, eccezioni sempre escluse (es.: un personaggio che normalmente parla in modo forbito). Se un personaggio non parla mai in modo forbito, se ad un certo punto gli si mettono in bocca parole che non rientrano nel suo vocabolario… si avverte una stonatura. Ecco che ogni personaggio ha/dovrebbe avere non solo un suo stile comunicativo, ma anche una sorta di suo vocabolario, e usare quello.
- RUOLO SOCIALE. Dai dialoghi si deve capire se stai parlando con un re, una strega, un malfattore, un analfabeta, un astronauta, un pittore, un prete, un bambino, etc. Voglio dire che il modo di parlare, frase per frase, deve esprimere un concetto, riflettere la personalità del personaggio, essere carica di contenuto psicologico o far progredire la trama, ma deve anche mostrare tutto il bagaglio culturale del personaggio e il ruolo sociale che ricopre. Se fai parlare un medico legale devi studiare la medicina legale per quel che ti serve. Se parla una strega devi studiare la religione Wicca. Se parla un menestrello devi studiare come recitavano i menestrelli di corte. Se parla un pilota di aerei devi studiare gli aerei e tutto ciò che ti serve sapere. Voglio dire che c’è anche un linguaggio tecnico e particolarissimo, legato alle professioni, dal quale non si può spesso prescindere. Io non scriverei mai, ad esempio, un romanzo su un pianista, perché non conosco la musica e non posso studiarla per come si dovrei fare prima di scrivere una storia che ha per protagonista un pianista.
- NON DIRE SEMPRE TUTTO. Questo l’ho sperimentato in un un capitolo del mio romanzo e ho visto che funziona. Nella cinematografia si usa spesso sfumare una scena mentre due personaggi stanno parlando, cioè il telespettatore non sente più il prosieguo del dialogo, ma il regista fa chiaramente capire che la discussione va avanti in realtà e, quindi, che c’è qualcosa che ora un personaggio sa ma che tu non sai, non ancora. È una tecnica bella e anche potente. Se usata al momento giusto e nel modo giusto in un dialogo, sfumandolo così ad esempio: “Se il tesoro è ancora lì…” e le disse cosa fare, crei un bell’effetto quando accade ciò che il personaggio ha spiegato di fare e che tu non sapevi sarebbe successo. Se lo racconti prima, proseguendo il dialogo fino in fondo, togli la suspance, anche se non fosse un thriller.
- VOCE NARRANTE. Accade talvolta di leggere dialoghi secchi, dove la voce narrante è poco presente o totalmente assente. Per me questo funziona bene solo nel caso di pochissime battute (tre, al massimo quattro). In generale la voce narrante non deve lasciare troppo spesso, o troppo a lungo, la scena. Ecco che diventa fondamentale la frase di accompagnamento che la voce narrante aggiunge prima o dopo ogni caporale, perché è lì che parli all’inconscio del lettore e non con quello che scrivi fra le caporali. Quando dico ad esempio: “grattandosi il mento”, “i suoi occhi si strinsero fino a diventare due lame sottili e taglienti”, o “respirò profondamente”, o “distolse lo sguardo”, o “si toccò il naso”, o “arrossì come un peperone”, etc., lì il tuo inconscio capisce tutto. La mente del lettore comprende parole e frasi, contenuti razionali, mentre l’inconscio segue esclusivamente la trama sottile delle emozioni che intessi con i contenuti. Questo vale anche quando descrivi il comportamento di un animale, sia chiaro (vedi punto 5), cioè si deve studiare il linguaggio corporale dei cavalli se metti in scena un cavallo, che ha il suo modo di esprimersi ben preciso. L’inconscio è onnisciente, cioè perfettamente in grado di capire anche i movimenti del cavallo che tu descriverai, con cognizione di causa, ovviamente. Il dialogo, in sostanza, non è solo ciò che dicono i personaggi, ma anche ciò che completa le loro frasi, e questo dev’essere psicologicamente coerente col dichiarato e/o con le vere emozioni che il personaggio sta provando.
- AMBIENTAZIONE. Non è accettabile, per me, che un dialogo prenda vita senza che si sia prima creato il contesto, la scena, esattamente come nei film vedi dialoghi (sceneggiatura) e scenografia. Ecco, per me un romanzo è come un film, pertanto dev’esserci sempre la scena per immaginare al meglio ciò che sta accadendo. Il dialogo non diventa “visivo” e non può trasmettere emozioni se non doni anche la scena al lettore.
- COMPARSE. Spessissimo mancano del tutto le comparse nei romanzi, anche famosi, che significa comunque estrapolarli dalla realtà. Le comparse, infatti, esistono ed esistono sempre: nella vita come nei film. Io considero preziosa la presenza delle comparse nei romanzi, come preziose sono nei film, giacché arricchiscono molto un romanzo, purché tali comparse rispettino anch’esse nel dialogo la regola riportata nel punto 1.
- EVOLUZIONE. Alcuni personaggi devono evolvere lungo la storia, soprattutto i protagonisti. Questo si traduce nel far mutare lentamente anche il modo di esprimersi dei personaggi, ancor più alla fine, facendo usare loro un registro comunicativo diverso, un tono diverso, contenuti diversi e vocabolario diverso, per mostrare l’evoluzione della propria personalità.