Eccoci qui con la recensione al romanzo storico “L’ultimo Paleologo”, scritto e pubblicato da Emanuele Rizzardi.
Siamo nel 1453, un anno che dice moltissimo agli appassionati di Storia. È l’anno in cui avvenne l’ultimo assedio di Costantinopoli, e la successiva Caduta di Costantinopoli, allora capitale dell’Impero Romano d’Oriente. I Turchi Ottomani, guidati dal sultano Maometto II, conquistarono Costantinopoli nel Maggio del 1453, dopo circa due mesi di combattimenti. E con la caduta di Costantinopoli, conseguente alla morte dell’imperatore Costantino XI Paleologo, l’Impero Romano d’Oriente, dopo oltre mille anni, cessa di esistere.
La storia, romanzata, ruota attorno a quello che è uno degli avvenimenti storici più importanti per l’Occidente e l’Oriente insieme.
Il titolo scelto dall’autore per il suo romanzo L’ultimo Paleologo è molto azzeccato, a mio avviso, perché evoca la fine di qualcosa che va ben oltre la morte di un singolo uomo, per quanto importante possa essere. Lo abbiamo capito bene, questo, già con “L’ultimo dei moicani”, e poi con “L’ultimo samurai”. Analogamente, la morte di Costantino XI Paleologo simboleggia la fine del glorioso Impero Bizantino, che da Oriente tanto illuminò il mondo cristiano e pagano d’Occidente. La fine dell’Impero Romano d’Oriente, infatti, si fa coincidere con la data di morte di Costantino XI Paleologo.
La copertina trovo che sia stupenda, anche se a qualcuno potrà sembrare che vi sia raffigurata “solo una spada”. A me, però, quella spada ha trasmesso molto la prima volta che l’ho vista. Sarà che amo la simbologia e mi meraviglio quando la vedo venir fuori prepotente da un’immagine o da delle parole, che l’autore ne sia consapevole o meno.
L’angolatura della spada e la sua “nudità” mi hanno evocato l’immagine di una figura umana e, al tempo stesso, cristica. Lo sfondo e la scelta del bianco e nero hanno rafforzato questa mia visione, perché rimandano “agli ultimi momenti”: della morte in croce del Cristo come di Costantino XI Paleologo. Personalmente accosto Costantino XI al Cristo unicamente come immagine della loro morte, per quello che mi ha evocato la copertina e le similitudini simboliche, che sono davvero tante. Val la pena ricordare che Costantino XI viene venerato come santo e martire dalla Chiesa Ortodossa, anche per il suo tentativo di ricomposizione dello scisma.
Tornando alla copertina, la spada, fotografata dal basso per esaltarne l’estensione verso l’alto, ricorda una croce e un corpo umano, ma anche la famosa “Colonna di Costantino”, che attorno all’anno 1100 venne restaurata e sormontata da un blocco recante una croce. Ecco, proprio sulla cima della colonna di Costantino sembra sia stata esposta, per spregio, la testa (cranio) di Costantino XI Paleologo all’indomani della conquista di Costantinopoli da parte dei turchi. E sembra anche che le ultime parole di Costantino prima di morire siano state: «Non c’è un cristiano, qui, disposto a prendersi la mia testa?»
L’accostamento simbolico tra la Spada, la Colonna di Costantino e la Croce diviene ancora più forte, e incredibile per certi aspetti, se pensiamo al fatto che la parola “calvario” significa “luogo del cranio”, dal latino Golgŏtha, che è anche la collina appena fuori le mura di Gerusalemme dove fu crocifisso Gesù. Ecco che in copertina troviamo come sfondo della spada proprio una collina e il cranio di Costantino posto in cima alla colonna è chiaramente un equivalente simbolico del calvario di Cristo in croce. Per quanto mi riguarda, quindi, trovo che la copertina di questo romanzo sia a dir poco stupenda.
Andiamo al testo. L’autore conosce molto bene la lingua italiana e il suo uso, e questo è importante, ovviamente. Faccio solo un appunto al riguardo: le caporali di chiusura dei dialoghi sono sempre fatte precedere da un punto e fatte seguire da una lettera maiuscola, anche quando non si dovrebbe.
Accade spesso che la voce narrante, dopo le caporali di chiusura di un dialogo, aggiunga delle parole per dare rotondità e profondità al dichiarato. Grazie alle parole aggiunte a inizio e/o fine dialogo dalla voce narrante ci arrivano con maggior definizione le emozioni dei personaggi, così come la descrizione di una particolare espressione del viso o un gesto ci risucchia maggiormente nella storia, spingendoci a continuare a leggere. Ecco, personalmente preferisco leggere senza interruzioni le parole che la voce narrante aggiunge ai dialoghi, perché, per me, fanno parte integrante del dialogo stesso.
Dal punto di vista grammaticale mi limito a fare solo questo appunto perché è il più importante. Sono convinta che sia stata una scelta stilistica dell’autore, ma personalmente non l’ho gradita, perché ha disturbato la mia lettura, forzandomi a fermarmi continuamente, come il punto vuole che si faccia, ma per poi riprendere a leggere e scoprire che la nuova frase era, in realtà, a completamento del dialogo precedente, e, quindi, andava letta in sequenza con quello. Propongo di usare la virgola dopo i caporali o, meglio ancora, niente.
Passiamo alla trama. Dire che è interessante, nel senso che l’argomento della caduta di Costantinopoli è per sua stessa natura “toccante”, almeno per me. Lungo tutta la lettura arriva al lettore la conoscenza approfondita degli eventi narrati dall’autore, seppur fortemente romanzati, e il Rizzardi stesso dichiara nella sua biografia: “un appassionato di storia fin da bambino e, in particolar modo, del medioevo bizantino”.
Per prima cosa segnalo all’autore che nel suo romanzo ci sarebbe stata benissimo una mappa storica, anche se L’ultimo Paleologo non è un fantasy. Il motivo è presto detto: le terre attraverso le quali lo scrittore ci fa viaggiare sono diverse e hanno tutte dei nomi poco o per niente familiari ai lettori. Ecco che sarebbe stato bello dare un’occhiata alla mappa quando l’autore ci mostrava l’esercito di Bagrat che si metteva in marcia da un luogo all’altro. Dico questo perché i video presenti nel canale YouTube dell’autore sono pieni di mappe storiche, di tutti i tipi. È evidente che il Rizzardi si muove bene fra quelle, e per tale ragione impiegherebbe un attimo a inserirne una nel suo romanzo.
Riguardo la trama, sono diversi gli aspetti interessanti sui quali ci si può soffermare. Il romanzo si apre molto bene col Prologo, poiché il monaco ha una doppia identità, ma, se si vuol scoprire quale sia quella nascosta, si deve arrivare fino in fondo alla storia.
Questo è un romanzo dove le battaglie la fanno da padrone, diciamolo subito, e va bene così, se pensiamo che la seconda parte della trilogia de “Il Signore degli Anelli” – Le due Torri – è quasi interamente la narrazione di una battaglia. Amo le battaglie, ma nel caso de L’ultimo Paleologo devo dire che l’autore, a parer mio, da il meglio di sé fuori dal campo di battaglia. Ho apprezzato, cioè, molto di più i pezzi che facevano da contorno alle battaglie che le battaglie stesse: il prologo, ma anche il viaggio di Bagrat e Alessio alla ricerca dello stregone, Shervard, e il loro successivo dialogo, solo per fare i primi due esempi che mi sono venuti in mente.
Bagrat e Alessio sono i protagonisti della storia. Se in una narrazione c’è un protagonista, allora dev’esserci pure il cosiddetto “secondo”. Questo rappresenta, dal punto di vista interiore, il vero “sfidante” del protagonista: lo forza a mettersi in gioco (accettare le sfide che gli si presentano davanti) e ne favorisce, con le buone o con le cattive, l’evoluzione di coscienza (crescita).
Bagrat e Alessio si alternano in questi ruoli, perché l’uno è protagonista e al tempo stesso secondo dell’altro per tutto il romanzo. Tanto Bagrat quanto Alessio fanno un percorso di crescita interiore per costruirsi un’autostima che non hanno all’inizio del viaggio, per via del rapporto coi rispettivi padri che potremmo definire “tutt’altro che idilliaco”. Assistiamo all’evoluzione di entrambi, naturalmente, ed esattamente per come doveva accadere, essendo Bagrat e Alessio l’alter ego uno dell’altro o, se preferite, due parti della stessa persona, che prima si incontrano/scontrano e poi cercano in tutti i modi di trovare una sintesi (leggi: unirsi). Ecco che Alessio deve imparare l’arte del combattimento e il coraggio sul campo di battaglia, che sono caratteristiche proprie di Bagrat, mentre Bagrat deve imparare l’arte della mediazione e del comando/strategia, che caratterizzano invece Alessio. Al di la dei fatti accaduti prima, durante e dopo la caduta di Costantinopoli, sono le vicende umane che attirano la mia attenzione nei romanzi, e su quelle concentro quindi anche la mia recensione.
E le donne? Chi, come me, avrebbe preferito leggere una storia con donne che ricoprivano ruoli centrali, resterà un po’ deluso. Si avverte forte il desiderio da parte dell’autore di osare, e a tratti lo fa con grande slancio, ma ogni volta la storia ripiega rapidamente sulla trama principale, che vede come protagonisti assoluti Alessio e Bagrat. E’ una scelta dell’autore, e va bene così.
Nella storia incontriamo presto Lucrezia, una donna guerriero che combatte meglio di tanti uomini e, per sua scelta, partecipa alla battaglia contro l’esercito Ottomano. L’autore sceglie di non approfondire la storia d’amore tra lei e Alessio, e forse perché la sostituisce presto con Tamar: una donna altrettanto forte e coraggiosa, che sposerà Alessio. Le azioni che vedremo compiere a Tamar sul campo di battaglia, e ancor più le decisioni che prenderà prima di stringere in pugno la spada, sono decisamente eroiche, e però si deve aspettare la fine del romanzo per viverle. Se l’autore avesse inspessito la trama relativa a quei due personaggi femminili, dalle personalità affascinanti entrambi, il romanzo avrebbe, a mio personalissimo avviso, ingranato una marcia in più. Se si pensa alla serie televisiva che ha vinto più premi nella storia della cinematografia mondiale, Game of Thrones, si capisce cosa intendo dire con riferimento ai personaggi femminili. E’ vero che Game of Thrones è una serie fantasy-storica, ma è vero anche che nessuno aveva mai pensato prima di George R. R. Martin di centralizzare il ruolo delle donne contemporaneamente nel fantasy, nella storia (Medioevo in quel caso), nei giochi di potere e sui campi di battaglia (guerre). Il romanzo di Rizzardi non è un fantasy, ma se fa impugnare la spada a due donne per come ha fatto… allora è un autore in grado di osare anche di più di quanto non abbia fatto ne L’ultimo Paleologo. Ovviamente stiamo parlando ancora di scelte dell’autore, che giammai sono giudicabili.
Dico ora quali sono, per me, il punto di maggior forza e di maggior debolezza del romanzo.
Il punto di forza è l’energia dello scrittore, che trasuda da ogni parola. Rizzardi è un fiume in piena, e anche quando ho attraversato parti poco convincenti, di fatto è riuscito a farmi continuare a leggere fino in fondo, e questo solo grazie solo all’incredibile passione che mette nella scrittura.
Il punto di debolezza è, a mio avviso, la struttura dei dialoghi, che ho trovato spesso eccessivamente lunghi (le battute di ogni personaggi ancor più dei dialoghi nel complesso), soprattutto quando si svolgevano sul campo di battaglia.
Per concludere, credo che se Rizzardi si obbligherà nel prossimo romanzo a scrivere dialoghi molto più corti di quanto abbia fatto ne L’ultimo Paleologo, potrebbe sbocciare pienamente come scrittore e conquistarci tutti come suoi lettori. Questo il mio augurio per lui.